Location: Los Angeles, J. Paul Getty Museum
Sub-Location: Il componimento è presente in un volume di miscellanea (copie di poesie 1525-30)
Sub-Location: Il componimento è presente in un volume di miscellanea (copie di poesie 1525-30)
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verso
Type:Poem
Language:Italian
Transcription Author: John Shearman
Published: yes
Publication Details: The document was first discovered by P. O. Kristeller, “Iter Italicum. A finding list of uncatalogued or incompletely catalogued humanistic manuscript of the Renaissance in Italian and other libraries”, London and Leida 1963-90, V 1963, pp. 360, 401; the present transcription is taken from J. Shearman, “ Raphael in early modern sources”, Yale University in association with the Bibliotheca Hertziana Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte, New Haven and London 2003, pp. 656-659.
Notes: The document appears on the following folios: cc. 46v-49r.
Language:Italian
Transcription Author: John Shearman
Published: yes
Publication Details: The document was first discovered by P. O. Kristeller, “Iter Italicum. A finding list of uncatalogued or incompletely catalogued humanistic manuscript of the Renaissance in Italian and other libraries”, London and Leida 1963-90, V 1963, pp. 360, 401; the present transcription is taken from J. Shearman, “ Raphael in early modern sources”, Yale University in association with the Bibliotheca Hertziana Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte, New Haven and London 2003, pp. 656-659.
Notes: The document appears on the following folios: cc. 46v-49r.
Canzone by Francesco Maria Molza on Raphael's death.
Artist(s): RaphaelDates: *.1520
In mortem Raphaelis Vrbini pictoris
et architectus ad Leonem x. P. Max. Canzone
O beato e da ‘l Cel’ diletto Padre
Al cui saper l’alma e tranquilla pace
Onde fiorisce in terra ogni bella arte,
Ascrive il mondo, che d’horribil face
Di guerra acceso e pien’ d’armate squadre
Vi fu commesso, alhor che in ogni parte
L’havea guasto il superbo et crudel Marte,
Ad voi converto le mie debil rime.
Non perché quanto oltr’al vigor mi stenda
Del mio dir non comprenda
E ch’impresa è da stil’ chiaro e sublime,
Ma tacer non mi lascia il nostro amaro
E giustissimo duol' che vi tormenta
Qualhor’ pensate al sempre acerbo caso
Per cui di Raphael’ sete rimaso
Privo in un punto. Al secol’ nostro è spenta
Sua magior luce, e tolto il suo più raro
Ornamento, e ‘l gentil’ fermo riparo
Onde sperava, o dura morte e fella,
Italia diventar più che mai bella.
Ma in prima l’honorata e nobil Roma
Ch’egli con l’alto ingegno e più ch’humano
Dispost’era a tornar’ nella grandeza
Che dal magiore Augusto e da Traiano
E dai lor’ successori ancho si noma
E mostrar la beltate e la chiareza
Ch’ella ritenne infin che di sua alteza
Lasciò caderla Honorio, il cui difecto
La strada aperse a mille altre ruine.
Alle quai ponea fine
Questi, a cui non fu mai pare architetto
Ch’a veder sol, prova ch’ogn’ altra excede
Degli antichi edificii un piccol segno,
Così tutti i fingea compiutamente,
Che spesso ho decto a fargli era presente,
O, ver dalla sua man’ nacque il disegno
Hor l’edace vecchieza a domar’ riede
I bei lochi e famosi, a cui non vede
Simili il mondo, e notte eterna copre
Secura homai infinite e divine opre
Par ruina già son più di mille anni.
Non sentì per l’incendio d’Halarico,
Ond’il fin cominciò del nostro impero,
Minor piaga il furor di Genserico
Lasciò, ne’ fesi gravi et aspri dannii,
Totila ingiusto, e ‘l vil Constanzo e fero,
Sacro Monte Tarpeo, ch’el tuo severo
Et invitto Romano a regger nato
Spesso già triomphar lieto guardavi
E ‘l tributo servavi
D’Aphrica, Europa, et Asia allhor portato
Torri, palazzi, templi, archi e theatri
Di cui si perde ogn’hor più la memoria
Nel M. D. e XX il sexto
Giorno d’aprile, a voi duro e funesto.
Cadde con Raphael’ la vostra gloria,
Perhò tal dì seguendo i suoi gran Patri
Aggiunga Roma agli infelici et atri
E gli ochii ogn’anno habbia del pianger molli
Gridando infin’ al cel da tutti i colli.
Anzi me più ch’ella non pianse allhora
Ch’Alia vide suoi figli, e ‘l Trasimeno
E Canne la magior delle sue doglie
Bagnar col lor gentil sangue il terreno,
Pianga questa ruina ultima ogn’hora
Caso non verrà mai, che si la spoglie
Acerbamente, o ver che più l’addoglie
Fondata l’havean’ già debile e frale
Romulo, el buon Camillo, onde son state
Spesse volte piagate
Sue belle membra, hor salda et immortale
Si vedea riuscire, e posta fuore
D’ogni ingiuria di tempo e di fortuna.
O nostra età del magior ben suo scossa,
O irreperabil damno, o ria percossa
Di Morte, contra i buon’ tanto importuna
Nostri chiari triomphi, e ‘l vero honore,
Le bell’opre, i gran nomi e quel valore
Che domò l’universo ha messo in fondo,
Né vien più chi succeda a si gran pondo.
Cotal perdita haver poche tranquille
Hore vi lascia, el cor’ raro acquetarsi
Perché tutti altri ingegni esser vedete
A sì famosa et alta impresa scarsi,
E mostravi i suoi damni a mille a mille.
Roma tosto ch’a lei vi rivolgete
Il Celio monte e gli altri sei piangete
Ch’un muro in parte, el vicin fiume serra
Pensando alle superbe opre excellenti
Che le barbare genti
Han’ consumpte, o nasconde invida terra
Giaceno i bei principii sparsi e vani
Disfatto ha un’ dì quanto molti anni havea,
Con tutti i suoi ornamenti, e sue richezze
Construtto il mondo, che maggior bellezze
Non spiego altrove, né spiegar potea.
O Julii, Pompei, Titi, Hadriani
Manchate son le docte e nobil mani
Che Roma da perpetuo excidio oppressa
Havrebber nei primier stato rimessa.